Come integrare la tecnologia blockchain nelle piattaforme che si occupano di raccogliere soldi per progetti di equity e lending crowdfunding, cioè più in generale nell’ambito del crowdinvesting? Quali sono le opportunità e le sfide da superare. Abbiamo fatto il punto con Matteo D’Andreta, esperto di web3, fondatore di startup e della community urbe.eth.
Chi è Matteo D’Andreta?
Da 5 anni business developer e imprenditore nel mondo web3. Nel 2020 Ha scritto un libro sul mercato primario e secondario dell’equity su blockchain. Da sempre interessato ad affrontare le ICO/IEO/STO (sotto spieghiamo cosa sono!) da un punto di vista legale, tecnologico e finanziario. Attualmente cofounder della startup Brian e della community urbe.eth.
Cos’è urbe.eth?
Urbe.eth è una community non profit per web3 builders. A più di un anno dalla sua nascita, contiamo 600 membri e numerose attività svolte: 12 UrbeTalks, tanti aperitivi insieme, tantissime ore di coworking e, soprattutto, la realizzazione del primo hackathon internazionale a Roma: ETHRome.
Le ICO e STO hanno una pessima fama e sono state, in alcuni casi, veicolo di truffe. Spieghiamo cosa sono, cosa è successo e perché rientrano nell’ambito del crowdfunding.
Le ICO e le STO non godono di buona immagine per i loro utilizzi fraudolenti, più che per le loro oggettive peculiarità. In tutti e due i casi abbiamo una startup che offre un token in cambio di una somma di denaro da un investitore. Formalmente nulla di diverso rispetto a ciò che succede in un crowdfunding tradizionale. Sostanzialmente però, l’utilizzo di determinati token, degli smart contract, e di un certo livello di decentralizzazione, scinde tra loro le due tipologie e segna anche un solco con i metodi più tradizionali di raccolta.
Le ICO – Initial Coin Offering – sono nate ed esplose immediatamente dopo la nascita di Ethereum, creando una bolla speculativa tra il 2017 e il 2018. Una ICO è una raccolta via crowdfunding fatta tramite smart contract, quindi in modo del tutto decentralizzato e senza l’intervento di alcun intermediario. Semplificando, lo smart contract riceve gli ETH o un token ERC20 e invia automaticamente all’address dell’investitore il token. Token che dovrebbe essere classificato solo come un coin e non come una security. Questa è la differenza principale, infatti, tra ICO e STO.
Le STO – Security Token Offering – sono raccolte in cui il token che viene offerto rappresenta una quota dell’equity della startup.
Un’ulteriore terza tipologia è la raccolta classificabile come IEO – Initial Exchange Offering – ossia una emissione pubblica di token tramite un exchange di criptovalute.
Le critiche ruotano intorno alle tanti frodi che hanno segnato il mondo crypto dal 2017 a oggi. Molte raccolte sono state lanciate in modo del tutto anonimo, senza documentazione o senza la presentazione di MVP (Minimum viable product, cioè di un prodotto/servizio iniziale funzionante) del progetto. Nel web3 è l’investitore che deve informarsi e farsi carico delle proprie scelte. L’assenza di un intermediario non è solo un efficientamento di costi e tempi: può avere conseguenze negative, come lasciare l’investitore totalmente indifeso in situazioni di frodi o perdite di denaro per bug tecnologici.
Al di là di ICO e STO, la tecnologia blockchain come potrebbe integrarsi con le piattaforme più tradizionali di raccolta?
La blockchain può essere sempre utile come strumento per garantire maggiore trasparenza (come nel caso della notarizzazione di file), ma soprattutto gli smart contract offrono la possibilità di aprire agli investitori la governance di una startup. Il team può, infatti, decidere che alcune scelte tecnologiche o di business siano prese direttamente dai propri investitori-utenti, tramite votazione su blockchain.
Ci sono degli use case positivi da citare in questo senso?
La maggior parte dei grandi progetti nel web3, come Uniswap, Aave, The Graph, hanno un proprio token per far partecipare attivamente gli utenti nella governance dei fondi. Non si tratta di attività speculative.
L’integrazione della blockchain quali vantaggi porterebbe agli stakeholder (piattaforme, autorità regolatorie e utenti finali)? Cosa cambia rispetto all’attuale raccolta online dei portali?
I vantaggi sono quelli classici associati alla tecnologia blockchain, cioè decentralizzazione e trasparenza. La decentralizzazione favorisce da un lato la totale trasparenza, automazione e disintermediazione degli smart contract, dall’altra la possibilità di lanciare la raccolta globalmente e a un pubblico indistinto. Contrariamente alle classiche raccolte, la blockchain è una tecnologia crossborder, nessuno può porre limiti geografici o di altro tipo (anche se diversi governi nazionali hanno da tempo varato norme per cercare di limitare o addirittura vietare alcune attività in ambito blockchain e crypto NdR).
Quali costi sarebbero necessari per una eventuale integrazione?
Per una piattaforma di equity crowdfunding tradizionale i costi principali sono di due tipi: tecnici e legali. Lato tecnico, si può decidere se offrire alle startup una soluzione più o meno decentralizzata, con costi e rischi che aumentano al crescere dell’utilizzo degli smart contract. Lato legale, il quadro normativo è molto chiaro per le raccolte che hanno a oggetto utility tokens, ma non security, che sono invece ricondotti nell’ambito della MiFID II, richiedendo uno studio ad hoc per accertare la compliance legale nella soluzione offerta.
Le piattaforme italiane potrebbero essere interessate a una simile innovazione?
Sì, ritengo possano essere interessate da un punto di vista tecnologico e di innovazione. Meno dal punto di vista di business, considerando sia un probabile scarso interesse degli investitori italiani, sia le già citate considerazioni legali di non semplice risoluzione.
L’utilizzo della blockchain in una piattaforma di crowdinvesting sarebbe compliant con le nuove regole europee sugli ECSP, in vigore da novembre di quest’anno?
Sono due i regolamenti europei che attualmente riguardano le ICO (e le IEO): il MiCA – Markets In Crypto Assets e il ECSP – European Crowdfunding Service Providers. Possiamo definirle due regolamentazioni complementari tra loro. La più recente, il MiCA, ha certamente fornito più chiarezza per tutto ciò che riguarda l’offerta al pubblico e il trading di utility token. In questo quadro le STO rimangono al di fuori di queste regole europee, perché hanno come oggetto le securities. Mancano tuttora specifici framework normativi per permettere di attivare con facilità una raccolta di equity crowdfunding su blockchain.
a cura di Luca Francescangeli