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“Crowdfunding e nuove regole europee: l’Italia è ancora indietro”

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alessandro maria lerro

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Mancano ormai meno di tre mesi alla piena entrata in vigore della normativa europea sul crowdinvesting (equity e lending). La deadline è fissata al 10 novembre, ma l’Italia è in ritardo. Attualmente, infatti, nessuna piattaforma italiana ha ancora ottenuto la licenza nazionale, indispensabile per continuare a lavorare, così come stabilito dalle nuove regole comunitarie. Il tempo stringe e poche piattaforme nostrane sembrano essere in grado di mettersi in regola nei tempi prescritti.

Proprio per approfondire meglio questo cambiamento epocale per il settore, così come le questioni ancora in sospeso, abbiamo fatto il punto con l’avvocato Alessandro Maria Lerro, che segue da vicino il crowdfunding italiano sin dai primi passi.

Leggi anche – Mercato europeo del crowdfunding: approvato il regolamento Consob. Ora l’Italia è pronta a partire

Chi è l’avvocato Lerro?

Avvocato esperto in finanza aziendale, tecnologia e creazione d’impresa. Si occupa da anni di startup e PMI. Esperto di crowdfunding, è il presidente di Italian Equity Crowdfunding Association, del comitato scientifico di Assofintech e di Entopan Innovation.

La nuova normativa europea impone precisi vincoli, anche organizzativi, alle piattaforme italiane e comunitarie che vogliono offrire campagne di crowdinvesting. Questi obblighi sono coerenti con le dimensioni e il giro di affari delle piattaforme stesse?

“In linea di principio la normativa comunitaria è decisamente coerente con il tipo di business e gli interessi dei risparmiatori – risponde l’avvocato Lerro  – Tuttavia si tratta di una disciplina di livello piuttosto alto, che può mutare anche radicalmente in fase di applicazione pratica, a seconda delle interpretazioni che daranno le autorità nazionali. Nella sua recente consultazione la Banca d’Italia ha introdotto un prezioso riferimento al concetto di proporzionalità, precisando che il rigore di determinate procedure deve dipendere dalla dimensione obiettiva della piattaforma e del relativo giro d’affari. Vedremo già in fase di autorizzazione se si tratta di una petizione di principio o se effettivamente le autorità applicheranno il criterio di proporzionalità. Al momento non si può trascurare il fatto che anche la più grande delle piattaforme di crowdfunding ha un giro d’affari di gran lunga inferiore a quello di un singolo consulente finanziario”.

L’Italia è stata piuttosto lenta nel recepire il regolamento europeo sugli ECSP. Come mai? Perché molti altri paesi come Spagna, Olanda e Francia sono stati assai più rapidi?

“Da una parte la tradizione giuridica del nostro paese ha rappresentato un pesante fardello: non è un caso se l’Italia accumula ritardi e sanzioni da parte dell’Unione Europea per il mancato o ritardato adeguamento alla disciplina comunitaria. Nel nostro caso, in particolare, il governo dell’epoca ha ritenuto necessaria una legge di delegazione comunitaria per dare esecuzione a un regolamento europeo, lettura ampiamente discutibile. Dall’altra parte i governi di altri Stati Membri dell’Unione sono molto più attenti a cogliere opportunità di sviluppo per i loro mercati interni. Quindi, mentre l’Italia restava ferma in attesa di un inutile provvedimento legislativo, che ha dovuto fare i conti con i tempi della politica, le autorità competenti di altri Stati hanno cominciato a rilasciare autorizzazioni senza che nemmeno fossero emanati i regolamenti tecnici di ESMA e EBA, ovviamente con la riserva di riesaminare le varie situazioni a tempo debito. Una importante piattaforma estone ha dichiarato apertamente che attuerà la normativa comunitaria nel corso dei prossimi mesi, d’accordo con l’autorità estone, circostanza del tutto esclusa dallo stesso regolamento europeo.

Sono curioso di vedere se le autorità italiane e di altri paesi prenderanno provvedimenti nei confronti di società italiane create da italiani e gestite in Italia, che magari richiedono l’autorizzazione per l’esercizio dell’attività in un paese più accomodante”.

Secondo Consob meno di 25 piattaforme italiane hanno già attivato l’iter per l’autorizzazione nazionale, indispensabile per continuare a ospitare campagne di raccolta dal 10 novembre in poi. Sono poche rispetto a quante censite dall’ultimo report del Politecnico di Milano. Come mai?

“Probabilmente sono parecchie meno e di queste non è detto che tutte arrivino alla fine del procedimento amministrativo. La verità è che le piattaforme che hanno esercitato l’attività negli ultimi 10 anni sono spesso poco più di siti web con un team ridotto, mentre il regolamento europeo richiede obiettivamente una solida struttura da intermediari finanziari e un impiego di mezzi non banale. Requisiti che non sono alla portata di tutti, ma che soprattutto al momento non tengono il passo con un mercato ancora modesto. Peraltro è stato giustamente contestato il ritardo del nostro governo nell’attuazione della disciplina comunitaria, ma a quanto pare molti gestori di portali non hanno nel frattempo cominciato le procedure di analisi normativa e di adeguamento. Quindi ora sono a loro volta in ritardo…”.

Sempre Consob stima in 4 mesi il tempo necessario per rilasciare un’autorizzazione nazionale. Al momento siamo a zero autorizzazioni. Facciamo in tempo per i primi di novembre? 

“Sono abbastanza scettico sulla possibilità di concludere i procedimenti amministrativi in tempo, a causa delle lungaggini burocratiche interne delle nostre autorità competenti, il cui cerimoniale procedimentale appartiene troppo spesso ad un’altra epoca”.

Secondo alcuni analisti, potrebbe arrivare un regolamento ECSP 2.0 nel corso del 2025. Quali sono i punti della normativa che già oggi destano qualche perplessità e/o difficoltà di troppo?

“Francamente escludo questa possibilità – conclude l’avvocato Lerro – Ci sono voluti 10 anni per arrivare al Regolamento 1503, con una moltitudine di passi avanti e deprimenti passi indietro da parte dell’Unione Europea, sotto l’egida della Capital Market Union. Mentre a livello nazionale, una volta attribuita la potestà regolamentare alla Consob, negli ultimi 10 anni il regolamento italiano è stato rivisto dalla Consob con prontezza diverse volte per adattarsi al mercato, il sistema comunitario non contempla una simile flessibilità.

È sicuramente possibile un intervento interpretativo da parte di ESMA ed EBA allo scopo di uniformare l’applicazione della disciplina comunitaria in tutta l’unione ed è auspicabile un coordinamento tra le autorità nazionali per avere un level playing field, un terreno alla pari insomma, che elimini arbitraggi regolamentari e la creazione di territori che rappresenterebbero, nel mondo della compliance, l’omologo del paradiso fiscale”.

a cura di Luca Francescangeli