L’Italia ha – finalmente – adottato il regolamento europeo sul crowdfunding lo scorso marzo. Una gestazione durata a lungo, ma che ha messo il nostro paese al passo con il resto dei partner comunitari. Si tratta di un cambiamento epocale per il crowdinvesting nazionale (equity+lending) e proprio per questo abbiamo chiesto un commento tecnico all’avvocato Daniele Costa.
Le luci sono molte, ma c’è ancora qualche punto da chiarire o migliorare. Ad esempio per quanto riguarda i servizi di gestione dei portafogli di prestiti da parte delle piattaforme, l’efficientamento del mercato secondario, che finora non è mai decollato, e il futuro dei veicoli d’investimento (OICR) come soggetti abilitati a raccogliere fondi via crowdfunding. Vediamo i dettagli.
Chi è Daniele Costa in un tweet?
Da oltre 10 anni lavora nel mondo del digital e delle nuove tecnologie. Fondatore dello Studio KBL Law, Daniele assiste startup, PMI e investitori nelle aree del diritto societario, M&A, privacy e proprietà intellettuale. Docente presso lo IED e mentor presso programmi di accelerazione per startup.
Ora possiamo considerare il quadro normativo sul crowdfunding completo oppure ci sono ancora delle questioni da risolvere?

Sicuramente il Regolamento UE 1503/2020 e il D. Lgs. 10 marzo 2023 n. 30 di attuazione hanno introdotto una serie di novità nel panorama del crowdfunding che sono senza dubbio da accogliere con favore.
Partiamo però da un presupposto: L’Italia è sempre stata all’avanguardia in questo settore, tanto che è stato uno dei primi paesi in Europa a introdurre una regolamentazione del fenomeno del cd. equity crowdfunding, vale a dire la raccolta di denaro da investitori non professionali “in cambio” di quote di una società.
Sotto questo profilo la nuova normativa apre ora il mercato alla seconda categoria di capitali che una società può raccogliere, quella del capitale di debito.
Nel mondo del crowdfunding, il capitale di debito viene definito lending crowdfunding. Tramite il lending crowdfunding l’investitore (che può essere sia una persona fisica che giuridica, ad es. un’altra società) potrà versare del denaro nelle casse di una società a titolo di prestito o sottoscrivendo strumenti di debito (es. obbligazioni). In questo caso, quindi, sulla base di condizioni che saranno di volta in volta negoziate tra l’investitore e la società, quest’ultima dovrà restituire il capitale ricevuto e gli interessi concordati.
Questa novità ha un impatto notevole sul tessuto imprenditoriale, in quanto, in questi ultimi anni, si sono visti, anche in Italia, una serie di progetti e di aziende che hanno introdotto modelli di business più o meno riferibili al mondo del lending crowdfunding e non è stato sempre agevole per gli operatori del settore, nonché per le autorità di vigilanza, definire con chiarezza il confine tra le attività che dovevano essere autorizzate e, conseguentemente, vigilate e quelle che invece non necessitavano di particolari requisiti ed autorizzazioni.
La nuova normativa ha altresì introdotto un nuovo istituto, direttamente collegato con il lending crowdfunding e che va a completare il quadro sul cd. capitale di debito, vale a dire il servizio di gestione individuale di portafogli di prestiti. Tramite questo servizio, pertanto, si potrà conferire mandato ad una o più piattaforme affinché queste ultime investano il denaro che l’investitore metterà a disposizione in uno o più progetti di lending crowdfunding presenti sulle medesime piattaforme. Detto in altre parole, sarà la piattaforma a decidere quando e quanto investire al posto dell’investitore. Ovviamente tale mandato non sarà “in bianco”, ma sarà preceduto da una attenta valutazione del profilo di rischio dell’investitore, al fine di creare un portafoglio il più possibile adatto alle esigenze finanziarie di quest’ultimo.
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Fin qui tutto bene. Su quali aspetti si potrebbe migliorare?
Se analizziamo la normativa più in profondità ci accorgiamo che alcune delle scelte effettuate dal legislatore europeo non coprono tutti gli aspetti del variegato mondo del crowdfunding; in particolare:
- la normativa non regolamenta il cd. peer-to-peer lending, vale a dire il mondo dei prestiti tra soggetti privati per esigenze personali. Il Regolamento UE 1503/2020, infatti, precisa che i progetti su cui investire abbiano ad oggetto “attività commerciali”. La scelta del legislatore europeo è stata forse dettata dal fatto che il settore dei prestiti alle imprese e quello dei prestiti ai privati sono caratterizzati da profonde differenze, cionondimeno ci auguriamo che si riesca presto ad intervenire anche sul fenomeno dei prestiti tra privati che in questi anni sembra aver iniziato ad attirare l’attenzione del grande pubblico.
- il servizio di gestione individuale di portafogli di prestiti sopra descritto riguarda esclusivamente il lending crowdfunding e non anche l’equity crowdfunding. Questa scelta potrebbe, tuttavia, essere dipesa dal profilo di rischio, secondo cui gli strumenti di debito hanno un tasso di rischio inferiore rispetto agli investimenti di capitali, per cui, come primo step, si è preferito al momento limitarsi a consentire la gestione da parte delle piattaforme esclusivamente degli investimenti in capitale di debito.
- il mercato secondario (per mercato secondario si intendono i successivi trasferimenti delle quote e/o degli altri strumenti finanziari derivanti da campagne di crowdfunding). Non bisogna dimenticare, infatti, che una delle ragioni per le quali gli investitori preferiscono investire in società quotate piuttosto che in società non quotate è proprio la presenza, nelle prime, di un vero e proprio mercato (es. Borsa Italiana) su cui è possibile ogni giorno trovare soggetti disposti ad acquistare e/o vendere le proprie azioni. Sotto questo profilo, la normativa europea introduce il cd. mercato secondario, da intendersi come la possibilità, per la singola piattaforma, di creare una bacheca virtuale attraverso cui gli utenti potranno manifestare il loro interesse ad acquistare e/o vendere tutti gli strumenti ammessi a fini di crowdfunding offerti sulla stessa piattaforma; pertanto, il mercato secondario potrà riguardare sia strumenti di equity (es. quote), sia altri strumenti finanziari (es. prestiti, obbligazioni ecc.). Inoltre, la piattaforma potrà anche indicare i prezzi di riferimento dei predetti strumenti finanziari, purché espliciti i criteri utilizzati per la valutazione ed evidenzi che il prezzo indicato non è vincolante. Tuttavia non sarà possibile concludere i contratti direttamente tramite la piattaforma, a meno che la stessa non sia anche autorizzata ad operare come impresa di investimento o come mercato regolamentato (es. Borsa Italiana). Si tratta di un punto fondamentale per il successo o meno del mercato secondario. Come avverranno, quindi, i trasferimenti delle quote sottoscritte in una campagna di crowdfunding? In Italia le modalità sono sostanzialmente due. La prima prevede il trasferimento mediante atto notarile o di altro professionista abilitato (es. commercialista). La seconda, invece, può essere percorsa se al momento della sottoscrizione delle quote si è optato per il regime alternativo di intestazione delle quote. Questo sistema prevede che un intermediario abilitato sottoscriva le quote in nome proprio e per conto dei singoli investitori. In questo modo i successivi atti di trasferimento saranno più agevoli, in quanto verranno fatti per il tramite del medesimo intermediario e non comporteranno costi od oneri né per l’acquirente né per il venditore. In queste settimane si sta definendo il testo del cd. DDL Capitali, il quale sembra voglia introdurre in Italia il principio della dematerializzazione delle quote. In tal caso, a determinate condizioni che verranno definite dal legislatore, tutte le PMI dovrebbero poter effettuare un trasferimento quote senza l’obbligo di rivolgersi al notaio o al professionista abilitato, così come avviene oggi per le società quotate e indipendentemente dalla partecipazione o meno a campagne di crowdfunding.
I veicoli d’investimento sono una categoria molto popolare tra le raccolte di equity crowdfunding. Cambia qualcosa per loro con la nuova normativa europea? Nel dettaglio, potranno ancora reperire fondi via crowd per poi decidere in autonomia dove investire i soldi raccolti?
I veicoli di investimento costituiscono una categoria che sempre più spesso viene scelta da gruppi di business angels o piccoli investitori privati che vogliano “mettersi insieme” per raccogliere denaro da investire su società target (es. startup ad alto potenziale di crescita).
Nella precedente normativa (vedi regolamento Consob 18592/2013) tra i soggetti che potevano partecipare ad una campagna di crowdfunding erano espressamente citati sia gli OICR (organismi di investimento collettivo del risparmio), sia le società di capitali, entrambi soggetti che avevano lo scopo di investire nelle PMI.
Il recente D. Lgs. 10 marzo 2023 n. 30 – che ha attuato in Italia il Regolamento UE 1503/2020 – ha modificato l’art. 100 ter del TUF (Testo Unico Finanziario), prevedendo che i soggetti che potranno partecipare ad una campagna di crowdfunding saranno esclusivamente le società a responsabilità limitata. Da qui la domanda degli operatori del settore: sarà ancora possibile costituire dei veicoli di investimento e raccogliere denaro da investire tramite crowdfunding?
Nonostante il testo legislativo non sia esplicito su questo punto e auspicando un intervento chiarificatore da parte delle autorità competenti, possiamo sostenere che non dovrebbero esserci ostacoli. Di fatto fino ad oggi tali veicoli hanno quasi sempre assunto la forma giuridica delle S.r.l. per cui rientrerebbero a pieno titolo nella categoria definita dal legislatore italiano all’interno del decreto sopra citato.
a cura di Luca Francescangeli