Un pesante passo indietro per il mondo dell’innovazione: a seguito del ricorso da parte del Consiglio nazionale del Notariato, il Consiglio di Stato ha dichiarato illegittime le procedure semplificate che il MISE aveva introdotto nel 2016 per la costituzione delle startup.
Alla base della sentenza ci sarebbe un vuoto normativo che porrebbe le disposizioni del MISE in contrasto sia con l’attuale legge italiana che con la normativa europea. Di parere contrario sia il Ministero che le associazioni che raccolgono il mondo delle startup innovative.
Addio alle startup costituite online: le motivazioni della sentenza
Quello che sembrava un importante passo verso la semplificazione e la digitalizzazione per il mondo delle startup innovative, si è rivelato in realtà un passo falso. Con la sentenza N. 2643/2021, il Cosiglio di Stato ha di fatto stoppato la possibilità per le startup innovative di costituirsi online.
Il pronunciamento accoglie il ricorso del Consiglio nazionale del Notariato, dopo che lo stesso era stato precedentemente respinto dal TAR del Lazio.
Cosa prevedeva la direttiva del MISE per le startup innovative
Le startup innovative sono particolari società di capitali i cui requisiti sono stati definiti per via normativa (scopri di più) e vengono iscritte in una apposita sezione speciale della camera di commercio.
La normativa prevede che l’atto costitutivo di startup e PMI innovative, e le eventuali successive modificazioni, debbano essere redatti tramite atto pubblico (atto notarile) o attraverso atto sottoscritto con le modalità previste dall’articolo 24 del codice dell’amministrazione digitale, secondo un modello uniforme la cui predisposizione era stata rimandata ad un apposito decreto ministeriale.
È proprio in questo solco che, nel 2016, il Ministero dello Sviluppo Economico, è intervenuto predisponendo il modello uniforme, così come previsto dalla legge, ma introducendo una deroga secondo la quale
“l’atto costitutivo e lo statuto, ove disgiunto, sono redatti in modalità esclusivamente informatica”.
L’oggetto del contendere si lega dunque proprio a questa deroga che, di fatto, restringe le previsioni di legge limitando la modalità di costituzione delle startup alla modalità digitale ed escludendo la necessità di un atto pubblico.
La direttiva ministeriale, inoltre, demandava al Registro delle Imprese la funzione di controllo dei requisiti delle società che si sarebbero costituite come imprese innovative.
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Perché il Consiglio di Stato ha detto no alla costituzione online delle startup
Nell’accogliere il ricorso del Consiglio del Notariato, il Consiglio di Stato ha evidenziato due ordini di motivazioni secondo le quali la direttiva ministeriale debba essere considerata illegittima.
In primo luogo il Consiglio di Stato ravvisa che la normativa ministeriale non si limiti a tradurre in pratica la normativa ma, di fatto, la superi proponendo come unica modalità costitutiva delle società quella per via digitale e ponendosi in contrasto anche con l’articolo 11 della normativa europea 2009/101 secondo cui
“in tutti gli Stati membri la cui legislazione non preveda, all’atto della costituzione, un controllo preventivo, amministrativo o giudiziario, l’atto costitutivo e lo statuto della società e le loro modifiche devono rivestire la forma di atto pubblico”.
In presenza di tale controllo, invece, l’atto pubblico non viene ritenuto necessario.
Secondo quanto previsto dal Mise, tale controllo veniva demandato al Registro delle Imprese.
Nel pronunciamento del Consiglio di Stato, dunque, il Ministero dello Sviluppo economico sarebbe andato oltre il dettato normativo italiano e non avrebbe altresì considerato la normativa europea, venendo quindi meno al principio di gerarchia delle fonti normative.
In aggiunta a tutto questo, il conferire al Registro delle Imprese un potere di controllo in grado di rendere non necessario un atto pubblico per la costituzione societaria, significava andare ben oltre il controllo esclusivamente formale previsto dalla normativa. Tale estensione delle prerogative del Registro delle Imprese sarebbe avvenuta, sempre secondo la sentenza del Consiglio di Stato, in assenza di una copertura legislativa che la legittimasse.
La sentenza rischia inoltre di avere anche effetti pesanti per molte imprese: il Consiglio di Stato ha infatti stabilito che, in caso di perdita dei requisiti di innovatività, solamente le società costituite con atto pubblico potranno rientrare nel registro delle s.r.l. ordinarie.
La motivazione che sottende tale indicazione risiede nelle volontà di limitare la possibilità di aggirare la normativa sulla costituzione delle s.r.l. e, secondo il Consiglio del Notariato, ha il merito di impedire alle organizzazioni malavitose di sfruttare modelli societari che godono di forti vantaggi in termini di agevolazioni ma che non sarebbero altrettanto adeguatamente sorvegliati.
Come rispondono le associazioni di settore
Il pronunciamento del Consiglio di Stato ha ovviamente suscitato un ampio dibattito tra i protagonisti del mondo dell’innovazione che si percepiscono nuovamente legati da un sistema fortemente burocratizzato e vittime di un sistema che tende a privilegiare gli interessi di una “casta” (quella notarile) a discapito dello sviluppo economico e produttivo del Paese.
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La posizione del Consiglio del Notariato, va ovviamente in senso nettamente opposto. Secondo il Notariato, infatti, le disposizioni del MISE, oltre a essere illegittime da un punto di vista giuridico, si rivelerebbero deboli rispetto alla difesa del sistema delle imprese dalle infiltrazioni delle organizzazioni criminali.
Il Notariato, infatti, non si definisce contrario al modello societario delle startup innovative, ma sottolinea
‘’l’importanza del controllo di legalità preventivo in ambito societario’’ per ‘’mantenere l’affidabilità dei pubblici registri e non consentire a organizzazioni malavitose di utilizzare indiscriminatamente nuovi modelli societari’’ non adeguatamente sorvegliati.
Toni molto diversi sono quelli utilizzati dai principali esponenti delle associazioni legate al mondo delle startup.
Angelo Coletta, Presidente di InnovUp afferma che
“la traiettoria verso la digitalizzazione, sburocratizzazione e semplificazione dei rapporti tra l’amministrazione pubblica e il tessuto economico ha subito un brusco colpo di arresto proprio in un settore strategico come quello dell’innovazione tecnologica in una fase storica particolarmente impegnativa”.
Anche Gianmarco Carnovale, Presidente di Roma Startup commenta severamente la sentenza:
“andiamo quindi avanti a passi del gambero giocando con la credibilità del Paese, per proteggere qualche consulenza ad una piccola casta fuori dal tempo, auspicando che non ci siano conseguenze per le startup già costituite con questa modalità“.
Qualunque sia la prospettiva dalla quale si voglia guardare l’esito del ricorso al Consiglio di Stato, rimane certo che siamo di fronte a un freno importante posto ad un sistema che, per sua definizione, dovrebbe invece essere agile.
Che l’errore risieda in una interpretazione eccessivamente blanda della normativa da parte del Ministero o, al contrario, in una visione eccessivamente restrittiva della sentenza, certo è che le ripercussioni cadranno sul sistema dell’innovazione.
La speranza è che il legislatore possa trovare il modo di coniugare la sicurezza del mondo imprenditoriale da infiltrazioni di carattere criminoso con l’esigenza di sburocratizzazione e di abbattimento delle barriere (anche economiche) all’ingresso del sistema delle imprese.
Per approfondire guarda il video della diretta che SCAI Comunicazione ha dedicato all’argomento.