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Venture capital: guida alla trattativa sulla liquidation preference

clausola liquidation preference

Indice

Il venture capital può essere molto rischioso. La liquidation preference nasce proprio per limitarne le perdite. Ma in cosa consiste? E cosa comporta per i founders?

Liquidation preference: cosa è e come si negozia

L’obiettivo principale di un founder è trovare risorse. In modo che la start-up cresca e si imponga sul mercato. Per questo motivo, aspetti del venture capital possono venire trascurati. La clausola di liquidation preference è uno di questi. Anche se ha un forte impatto sui ritorni dei founders.

Il venture capitalist monetizza principalmente nel lungo periodo. La differenza tra capitale investito e prezzo di vendita definisce il suo guadagno.

La liquidation preference è uno strumento di tutela da exit in perdita. Consente, in alcuni casi, di riavere prima di tutti il capitale investito. Tre quindi i suoi elementi principali:

  • Chi beneficia di questo trattamento “speciale”
  • Quali eventi fanno scattare la clausola
  • Quanto viene restituito.

Il “quanto” è particolarmente importante. L’investitore potrebbe chiedere l’applicazione di un tasso di interesse (hurdle rate). Oppure di riavere indietro il capitale, ma raddoppiato. Tutti elementi da valutare durante la trattativa.

Un altro punto cruciale è la definizione contrattuale dell’investimento. Sarà questa la base di calcolo della liquidation preference. L’ideale è circoscriverla ai soli versamenti di capitale. Escludendo così ulteriori avvenuti successivamente.

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Il liquidity event

Ma cosa fa scattare la liquidation preference? Solo specifici eventi economici, concordati tra le parti. Tipicamente sono:

  • messa in liquidazione della società;
  • vendita della start-up o della maggior parte dei suoi asset;
  • cambio del controllo societario;
  • fusione e/o acquisizione.

A volte viene inclusa anche la quotazione in borsa. Si tratta però di una richiesta atipica. L’IPO (“Offerta pubblica iniziale”), infatti, garantisce già ai soci privilegiati un guadagno. Non ci dovrebbe essere bisogno di altro.

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Participating o no? Occhio alle clausole

Quando l’exit non è povera, la liquidation preference assicura extra-profitti. Questo potrebbe anche essere accettabile per i founders. I venture capitalist infatti portano spesso know how. Sono una risorsa per la start-up.

Ci possono essere problemi se l’exit è di valore modesto. I founders potrebbero non riuscire a recuperare l’investimento. Soprattutto in caso di participating liquidation preference. Esistono infatti due macro-tipi di liquidation preference. La participating e la non-participating. La differenza tra le due è sostanziale. 

La prima penalizza molto gli altri soci. Il capitale di cessione restante viene diviso pro-quota tra tutti. Anche con il venture capitalist. Nonostante sia stato già “pagato” a monte. Purtroppo, si tratta anche della formula più diffusa. È possibile però limitarne gli effetti. Per esempio, tramite la definizione di un tetto massimo di rientro. Oltre il quale il privilegio della participating decade. 

Oppure, usare un meccanismo di catch-up. Ossia, ai founder viene assegnata una somma prima della divisione finale. Calcolata, magari, in percentuale rispetto alla liquidation preference.

Da valutare anche soluzioni alternative alla liquidation preference. Offrendo, per esempio, un rendimento minimo garantito tramite gli utili.