Il mercato di riferimento di Apis negli ultimi anni è profondamente cambiato: fusioni, acquisizioni aziendali, ricollocamento di fondi e dismissioni hanno portato ad una drastica diminuzione delle aziende presenti e, di conseguenza, ad uno stallo nell’aggiornamento tecnologico dei prodotti.
In questo contesto nasce Apis, la società di recente costituzione che si adopera nella produzione e distribuzione di dispositivi traumatologici, con particolare riferimento alla chirurgia della mano.
Abbiamo intervistato Stefano Sbardellati, co-fondatore, presidente CDA e CEO delegato di Apis, che ci ha raccontato di più su questa realtà del settore dei dispositivi medici traumatologici.
Come nasce Apis e quale esigenza di mercato vuole colmare?
Nasce dalla consapevolezza che il mercato sarebbe cambiato, in forza della normativa vigente, che avrebbe reso meno interessante per le big company mantenere certi mercati di nicchia, nei quali noi avremmo potuto colmare il vuoto, diventando driver di innovazione ma non solo, anche di ripristino e mantenimento di prodotti in via di dismissione.
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Chi sono i founder di Apis? Ci sono particolari fondi di investimento legati al progetto?
Quelli della prima ora siamo io e Matteo Ravelli, assieme 30 anni di conoscenza del settore, abbiamo frequentato le sale operatorie, vissuto i clinici durante gli interventi, pertanto visto e acquisito l’esperienza necessaria a porre in atto scelte strategiche anche e soprattutto perché abbiamo visto esigenze degli operatori.
Poi abbiamo coinvolto Matteo Mantovani, titolare di un interessante società di servizi per il medicale, dal laboratorio analisi alla ricerca e sviluppo, senza tralasciare la produzione, per noi un asset importate all’avviamento dei progetti.
In ultimo ci serviva chi finanziasse, in un certo modo, il progetto, dove non potevamo arrivare da soli. Il caso ha voluto che Fabio Monfardini accettasse di salire sul progetto, oltre che aiutarci sotto l’aspetto “spazio” con uffici e attrezzatura in modo agevolato: sta ospitando APIS presso i sue struttura -in vero ha acquistato un ala aggiuntiva tutta per noi-, ha soprattutto aperto, dopo aver visto cosa riuscivamo a fare, alle collaborazioni con i suoi contatti nella forza vendite, altro tassello importante per veicolare velocemente prodotti sul mercato italiano, benché l’obiettivo di APIS sia, in modo ambizioso, mondo.
Quali sono i vantaggi per un piccolo investitore e i possibili ritorni di un investimento nella campagna di crowdfunding di Apis?
Oltre a quelli garantiti dalla legge ai quali noi cediamo il “de minimis” per arrivate al 50% di detrazione IRPEF, che già di suo diventano un vantaggio se pensiamo a cosa rende un investimento oggi, abbiamo inserito in statuto tutte le garanzie per i piccoli soci che possano essere tutelati da quelli di maggioranza in caso di cessione in massa della società. Ma preferisco pensare a come, anche una piccola quota di investimento, possa generare quell’utile annuo che (sperando passi anche la norma sull’esonero contributivo da plusvalenza) possa permettere nel tempo, avviato completamente il progetto, agli investitori di trovarsi con un pezzo di ferie pagate perché, per fortuna, nel nostro settore esistono ancora marginalità che permettono a chi investe di vedere un ritorno.
La scelta delle big company è sempre quella di acquistare piccole realtà con asset tangibili (prodotti) che sono già avviate, certo, se penso a quanto mi sono sbattuto fino ad oggi vendere sembra quasi una sconfitta ma è business e quindi c’è da pensare anche ai ritorni economici oltre che quelli di soddisfazione dell’ego.
Come verranno utilizzati i fondi raccolti? Quali sono i progetti futuri di Apis nel breve e medio termine?
C’è da fare una piccola premessa dovuta a comprendere il contesto, il nostro settore è molto stabile ma connotato da una tipica lentezza nell’accesso al mercato quindi quando parliamo di medio termine per noi sono almeno 2 anni di orizzonte, ciò detto abbiamo obiettivi chiari. Un prodotto pronto oramai per la fase di marcatura CE, che richiederà ragionevolmente un anno di tempo e che è sicuramente il nostro terzo prodotto di più ampio consumo. Vorremmo almeno presentarlo in anteprima al congresso Europeo FESSH che nel 2023 sarà ospitato a Rimini.
Continueremo a lavorare per l’apertura di nuovi mercati, dei primi giorni di ottobre è l’accordo con Brasile e Germania, per altro il Brasile non era nei nostri obiettivi a breve ma la rete di contatti ci ha portato a trovare il partner adeguato, un pò per quel pizzico di fortuna che serve nella vita. Vogliamo consolidare almeno 10 centri entro fine 2023 in Italia, avviamento delle procedure di inserimento ospedaliero permettendo.
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Qual è il business model di Apis e quali le prospettive all’interno del vostro mercato di riferimento?
In un certo qual modo penso di aver toccato la risposta a questa domanda con le due sopra, che alla fine sono sempre strettamente unite. I nostri prodotti si vendono a ospedali (siano essi pubblici o privati) per tramite diretto, con agenti di commercio dedicati alla materia oppure per mezzo di distributori.
L’esperienza e la strategia delle collaborazioni, ci permette di avere abbastanza contatti per veicolare i prodotti, la pandemia ha rallentato l’uscita delle nuove gare d’appalto, sul mercato italiano, ma abbiamo avviato altri segmenti paralleli. Abbiamo scelto un settore che è, come detto, lento sotto un certo aspetto, ma altamente stabile. Non cede certamente i ritorni potenziali di un investimento in bitcoin ma garantisce nel medio lungo termine una certezza di rientri. Cresce di più del 7% anno su anno e il trend non è cambiato, ripartendo appieno nel post pandemia. Abbiamo prodotti che spaziano dalla nicchia, utile per farti conoscere quale elemento di unicità, a soluzioni di ampio consumo, pertanto siamo più che ottimisti.
Una cosa che hai imparato facendo startup e/o un errore di business che hai commesso e che non ripeterai mai più?
Bellissima domanda, forse la più difficile a cui rispondere, dovendo sceglierne una sola, perché facendo impari giornalmente e sbagli altrettanto.
Sicuramente la cosa che più mi ha stupito facendo startup è quanto sia reale l’esigenza di fare pivot.
Ho letto molto sulle startup, il primo libro è stato Startup Zero.0 di Federico Pistono, leggendolo ok impari i fondamenti del modello Silicon Valley ma, francamente non pensavo fosse cosi facile dire a progetto avviato “cambiamo tutto”. Ed invece ne senti l’esigenza, parti con un’idea anche solida ma poi iniziando a costruire e consolidare il progetto ti accorgi che servono cambiamenti, e in modo rapido e naturale la tua mente ricalcola tutto e ti supporta nel cambiare. E lo dico da persone che vive di radici ben piantante nel suolo, senso di appartenenza, territorio e scarsa disponibilità a cambiare senza vagliare tutte le possibilità. Però si fa, è forse la magia del fare startup.
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