La finanza comportamentale definisce lo home bias come la tendenza a investire in portafogli composti principalmente da titoli nazionali, rinunciando così ai vantaggi di una maggiore diversificazione. Cosa c’entra l’equity crowdfunding? Parecchio, secondo alcuni studi.
Le opportunità dell’equity crowdfunding per imprese e investitori
Sappiamo delle grandi potenzialità di questo strumento di raccolta alternativa di capitale: grazie al web, anche una piccola impresa può rivolgersi a un numero potenzialmente illimitato di investitori. Non a caso la Legge Finanziaria del 2017 ha messo l’equity crowdfunding nelle disponibilità di tutte le PMI, superando i precedenti vincoli che ne circoscrivevano l’uso alle sole start-up innovative. Chi desidera investire oggi si trova di fronte a un ricco bouquet di scelte, fatto di imprese che operano nei settori più diversi.
Il pubblico “indistinto” dei finanziatori internauti ha accesso a quasi tutti i 35 portali italiani iscritti al registro Consob (solo uno infatti si rivolge esclusivamente a investitori istituzionali e professionali). Tuttavia, questa vasta pure crowd, chiamata a osservare e valutare le informazioni delle singole campagne, può repentinamente assottigliarsi a causa dei bias cognitivi, errori sistematici nella valutazione delle informazioni.
Home bias: l’errore cognitivo che non conoscevi
Un tipico errore cognitivo è, per esempio, la tendenza a finanziare campagne già “calde”. Tuttavia, non è l’unico. Secondo alcuni ricercatori, gli investitori, soprattutto se non professionali, tendono a privilegiare le imprese che provengono da un contesto (geografico o settoriale) a loro noto. Si tratta per l’appunto della barriera dello home bias.
Sul mercato azionario, tale pregiudizio è soprattutto causato dalle asimmetrie informative e/o complicazioni (restrizioni legali, costi di transazione aggiuntivi, etc.) che innegabilmente affliggono gli investimenti in titoli esteri; ma se parliamo di equity crowdfunding, queste spiegazioni mal si adattano all’agilità e versatilità che invece assicura lo strumento.
Il limite dunque è di natura psicologica, e nasce principalmente dalla paura di sbagliare: l’investitore che ha familiarità con quello che sta finanziando sente di avere il controllo della situazione. Persino su Ebay le transazioni più frequenti avvengono tra venditori e compratori che sono residenti in una stessa regione o nazione. Tuttavia, l’avversità al rischio non è l’unico fattore che interviene nello home bias: l’Italia, si sa, è il Paese dei mille campanili, dove è forte e diffuso l’amore per il territorio, il sentimento di appartenenza a un contesto locale.
Ovviamente gli investitori esperti sono poco interessati dal fenomeno dello home bias, ma non sono la quota rilevante del mercato: il 50% delle sottoscrizioni raccolte si muove su una forbice che va da meno di 500 euro a un massimo di 100 (IV Report Italiano sul Crowdinvesting, Politecnico di Milano, 2019).
Imprese, investitori, istituzioni: che fare contro i bias cognitivi
Le implicazioni per gli attori del mercato sono diverse e importanti. Le imprese, nel creare la propria campagna, devono essere conoscere gli ostacoli “irrazionali” alla raccolta del capitale. Ridurre le asimmetrie percepite dall’investitore attraverso i rapporti sociali e l’accuratezza delle informazioni è un primo passo importante. Al tempo stesso, il pregiudizio dello home bias può diventare un’opportunità se l’impresa ha un forte legame con il territorio: il localized social capital è sempre stato una risorsa importante per l’economia italiana (pensiamo anche solo ai distretti industriali).
Gli investitori, dal canto loro, se vogliono ridurre il rischio di perdita dei capitali investiti, dovrebbero cercare di essere il più possibile oggettivi nelle proprie valutazioni: quello che si pensa di conoscere appare come una garanzia, ma può tradire. E in ogni caso differenziare gli investimenti tra settori e regioni è la mossa più prudente in assoluto.
Leggi i migliori investimenti in equity crowdfunding degli ultimi tre anni
Il Rapporto PMI Mezzogiorno (Confindustria e Cerved) consiglia da tempo l’equity crowdfunding e il social lending come soluzione al credit crunch cui sono sottoposte le microimprese del Sud Italia. Gli investitori, però, come abbiamo visto, potrebbero non essere sufficientemente consapevoli a causa degli errori cognitivi; e questo non può che destare preoccupazione in un Paese con un allarmante divario Nord-Sud e una generale distanza tra percezione e realtà (fenomeno descritto da Nando Pagnoncelli nel libro “La penisola che non c’è”, Editore Mondadori). Anche le istituzioni devono quindi riflettere sullo home bias, per capire se e come intervenire per rendere più attraenti gli investimenti in imprese del Mezzogiorno ed evitare un’ulteriore, nuova, “questione meridionale”.